I conoscitori della materia finanziaria mi scuseranno per la pedante e lunghissima introduzione. I lettori più esperti di finanza possono direttamente saltare i prossimi sei paragrafi , senza recarmi offesa. Quelli di voi che pensano di sapere proprio tutto, in effetti, possono anche non continuare a leggere – e a pensarci bene non dovrebbero nemmeno aver iniziato a leggere!
La pedante, e prolissa, introduzione parte dalla considerazione che il reddito personale, da lavoro o da rendita (non mi riferisco quindi qui al reddito d’impresa), viene da noi necessariamente impiegato in due modi alternativi: nel consumo o nel risparmio. Nel primo caso si tratta del denaro che “spendiamo”, a qualunque scopo: per sostenerci, per acquisti di prima necessità, d’impulso,
velleitari o per acquistare o sostituire varie forniture di casa eccetera. Nel secondo
caso invece alimentiamo genericamente la provvista del nostro patrimonio. Il rapporto
fra consumo e reddito è una percentuale chiamata “propensione al consumo”, e il
suo complementare è la “propensione al risparmio”.
La nostra propensione al risparmio comporta che periodicamente ci siano dei fl ussi
finanziari positivi che incrementano il patrimonio di partenza, che può essere una provvista iniziale originata di solito da un’eredità o da una donazione. Nel caso di una propensione negativa invece periodicamente attingeremo fondi dal patrimonio per far fronte ai consumi, cioè qualora essi fossero superiori al reddito.
L’impiego del patrimonio è comunemente detto investimento. L’obiettivo prefissato
nell’investimento determina a che tipologia di soggetto finanziario apparteniamo fra i
seguenti tre profili.
- Hedger. Parto dalla categoria più particolare perché è affascinante, poco nota e in un certo senso intrinsecamente paradossale. Infatti chi fa hedging impiega il patrimonio per bilanciare un rischio al quale è già esposto per altri motivi. L’esempio di scuola è l’azienda che, commerciando con l’estero, fosse esposta a un rischio valutario: se vendesse a un cliente statunitense con regolamento in dollari a 90 giorni merce dal valore di 1.000 €, concorderebbe oggi, col cambio a 1.3, un prezzo di 1.300 $. Però dopo tre mesi, cioè giunto il momento dell’incasso, il cambio potrebbe essersi impennato a 1.5, e così i 1.300 $ pattuiti equivarrebbero a 867 €, causando una perdita del 13%. Se si ha una propensione per il rischio si accetta questa situazione, o magari la si ricerca volontariamente, nella speranza che il rapporto di cambio migliori a nostro favore; se invece si è avversi al rischio, sarà bene fare hedging e vendere oggi dollari “a tre mesi”, fissando ora per allora il rapporto di cambio e azzerando così il rischio valutario. Analogamente se avessimo contratto un finanziamento a tasso variabile e diventassimo avversi al rischio, allora magari investiremmo in uno strumento finanziario che scambia il nostro tasso variabile con un tasso fisso di un investitore che ha il problema speculare. In generale quindi chi fa hedging è avverso al rischio, e destina parte del patrimonio nell’acquisto di strumenti che bilancino i rischi finanziari che corre suo malgrado. Tipicamente lo farà utilizzando degli strumenti cosiddetti “derivati” (futures, options, swaps o mix di essi), che derivano cioè da strumenti finanziari di base. L’investimento è in questo caso una sorta di assicurazione contro il rischio, e per tanto l’hedger si trova nella condizione paradossale di investire perché… non vuole investire! Egli infatti ha assunto, suo malgrado, una qualche posizione rischiosa come effetto collaterale di qualche altra operazione e, data la sua avversità al rischio, è obbligato a ricorrere a uno strumento finanziario per neutralizzarla.
- Speculatore. In italiano la speculazione ha un’accezione negativa. In realtà lo speculatore è semplicemente l’opposto dell’hedger: è cioè un operatore finanziario che tollera il rischio e che anzi lo persegue. Essendo il rischio, in potenza, di segno negativo o positivo (il valore di un’azione può “andar giù” ma può anche “andar su”) lo speculatore cerca un profitto finanziario acquistando e vendendo strumenti finanziari che offrano un rendimento a un grado di rischiosità per lui accettabile. Questo fine viene perseguito con alcune caratteristiche tipiche. La prima è che l’attività di speculatore è un’attività primaria: non è un hobby, non ci si dedica nei ritagli di tempo alla speculazione, non si specula senza conoscenze, capacità e mezzi adeguati. La seconda è che l’operatività è frequente: lo speculatore è “attivo”, entra ed esce dalle posizioni perché segue il mercato costantemente e continua ad aggiustare il suo posizionamento al mutare delle condizioni; seppur sia vero che esistono speculatori che si trovano “ingessati” in posizioni (corner), ma sono casi particolari della generalità del profilo. Gli hedge funds, spesso protagonisti delle cronache economiche, a dispetto del loro nome ricadono nella categoria degli speculatori. Essi sono a tutti gli effetti fondi speculativi, e debbono la qualifica di hedge al fatto che i primi fondi di questo tipo speculassero su sbilanci di posizioni semi-simmetriche cercando di minimizzare i rischi – caratteristica rimasta ormai sempre più confinata ai soli arbitrage hedge funds. La tecnicità rende la materia poco trattabile su queste pagine, ma basti sapere che se si legge hedge fund non si deve associare al profilo dell’hedger, bensì dello speculatore.
- Investitore. È una categoria residuale nella quale dovrebbero ricadere tutti gli operatori non professionisti. Infatti in un’altra categoria dovremmo trovare le aziende, che per loro natura limitano con l’hedging alcuni rischi finanziari collaterali che corrono, e si concentrano sul rischio d’impresa. In un’altra ancora dovrebbero ricadere le classi di operatori professionisti (gestori di fondi, gestori di patrimoni, hedge funds e fondi di fondi, gestori immobiliari, day trader e scalpers individuali ecc.) che affrontano rischi per cercare di conseguire rendimenti più elevati della media. Tutti gli altri soggetti, provvisti di patrimonio, sono genericamente investitori. Chiaramente è impossibile possedere un patrimonio e non essere, quanto meno, investitore: anche la liquidità (la pigna di banconote sotto il materasso) o le disponibilità liquide (conti correnti o libretti) e valori vari (gioielli, preziosi, opere d’arte…), così come il finanziarie la propria attività, sono tutte varietà di investimento. E l’investimento può essere anche immobiliare: casa di residenza, o quella di villeggiatura, o quella per l’appunto “messa a rendita”, il box dato in affitto eccetera. Insomma, se avete da parte dei risparmi e non siete speculatori, mettetevi il cuore in pace e guardate allo specchio un investitore – volente o nolente.
Chiusa questa profilazione e chiaritovi che molto probabilmente siete degli investitori, lasciate che vi consigli alcune letture: io non ho nulla da scrivere di più saggio di
quanto sia già stato scritto dai grandissimi autori che vi citerò.
La tempesta finanziaria che ha imperversato sulle Borse all’arrivo di questo autunno [2008] mi ha fatto riflettere sulla responsabilità degli investitori. Credo che chiunque possieda un patrimonio abbia due scelte: incrociare le dita e affidarsi a un gestore professionista, oppure “fare i compiti a casa” e investire da sé. In questo secondo caso i libri che consiglio sono cinque. Confesso che la mia libreria, sul tema, è più vasta… tuttavia considero le letture ulteriori un puro intrattenimento, una passione – perché
basterebbe assimilare il contenuto dei testi consigliati di seguito, e mettere in pratica
quanto se ne desume, che non si avrebbe bisogno d’altro.
Per primo cito «Guida pratica all’analisi tecnica», che ha scritto l’amico Michele
Maggi nel 2000. Maggi, purtroppo scomparso giovanissimo, ha pubblicato diversi
titoli per la Trading Library; tuttavia questo volume, edito da Egea, ha la virtù di essere un’introduzione davvero chiara e di facile comprensione alle tecniche di analisi degli investimenti mobiliari. È breve ed essenziale, ma spiega con parole semplici tutto ciò che
è necessario sapere in merito.
Il secondo ha un titolo che sembra fuori tema, ma al contrario è un libro che, oltre a essere eccellente in sé, è basilare per comprendere più a fondo la finanza: «Against the Gods: The Remarkable Story of Risk» che Peter L. Bernstein ha scritto nel 1996 per Wiley. All’università ho imparato che rendimento e rischio sono collegati, e quindi non è possibile considerare gli investimenti senza apprezzarne la rischiosità. E Bernstein ha scritto un autentico caposaldo a riguardo. Capire il rischio è capire il rendimento: capite i meccanismi di entrambi e capirete i meccanismi della finanza.
Se però avete spazio e tempo per un unico libro, di tutti e cinque i miei consigliati, quello imprescindibile è «The Intelligent Investor», di Benjamin Graham. Per qualificare questo libro bastino tre elementi:
- il titolo
- è stato scritto nel 1949 e, in sessant’anni, a oggi nessun editore italiano ha mai pubblicato la traduzione.
- il miliardario Warren Buffett lo considera
“di gran lunga il miglior libro mai scritto
riguardo agli investimenti”
Non penso si debba aggiungere altro. Personalmente dopo averlo letto non mi
sono sentito intelligente, ma di sicuro sono meno sprovveduto di quanto fossi prima di
averlo letto…
E fin qui ho citato la bibbia dell’investitore (Graham), il miglior testo sul concetto
di rischio (Bernstein) e un libro che tratta argomenti tecnici e complessi di finanza in
modo molto didascalico e gradevole (Maggi).
Voglio inserire anche un titolo che tratti delle bolle speculative, dei momenti critici,
di come essi funzionino, del loro ciclo di vita e di che comportamenti responsabili
porre in atto quando, come si usa dire in gergo, “arriva l’Orso”. La scelta di un solo
titolo è stata ardua, e in finale sono arrivati anche «Extraordinary Popular Delusions
and the Madness of Crowds» di Charles MacKay e «Devil Take the Hindmost: A History of Financial Speculation» di Edward Chancellor. A vincere la selezione è stato
però l’eccezionale «A Short History of Financial Euphoria» di John Kenneth Galbraith del 1994. Questo sia di monito per disilludersi negli anni di vacche grasse, e anche per non far tremare i polsi quando la recessione scuote le fondamenta delle Borse e l’economia reale soffre.
Infine consiglio il miglior libro sulla speculazione, tuttavia utilissimo anche all’investitore per meglio capire l’universo della finanza. È «Reminiscences of a Stock Operator», una sorta di biografi a di Jesse Livermore romanzata da Edwin Lefèvre nel lontano 1923.
A parte l’essere un libro gradevolissimo e ben scritto, è realmente una summa di come funzionino i mercati finanziari e i meccanismi interiori di qualsiasi operatore – o, forse, addirittura dei meccanismi interiori del mercato stesso.
Ribadisco che ci sono altri ottimi libri, ma questi cinque già riassumono tutta la conoscenza di base necessaria ad affrontare con successo il ruolo di investitore. La
vera difficoltà non è né acquistarli, né riporli sullo scaffale in bella vista, né leggerli.
Forse non è nemmeno capirli. La vera difficoltà è farli propri, è metabolizzare i loro preziosissimi insegnamenti. È una nostra precisa responsabilità comprendere e disciplinarci per non essere pula in balia dei venti tempestosi della finanza. E in ogni caso, com’è scritto nella dedica del libro di Michele Maggi,
“nessuno potrà mai portarti via le cose che sai”.
Dedicato a Michele Maggi.
Articolo precedentemente pubblicato dal bimestrale: “CR&M”, novembre’08.