Vabbe’, allora il fatto è che da ragazzetto ascoltavo un po’ di tutto.
Sentivo tanta radio e qualche elleppì e cassettina. A causa di mia mamma il brit-rock ed i cantautori italiani. Per colpa di mia zia mi sono avvicinato a blues, folk e rock (poi hard, poi alternative, poi grunge…). E debbo al mio compagno di banco (cui toccò il diploma di maestro in pianoforte e in seguito divenne direttore d’orchestra) che passassi qualche serata su Rai Radio3, ad ascoltare la classica o m’involassi da Orlandini, nel dietro di via XX settembre. Mentre dovevo a Berlusconi se seguivo il pop, guardando in tivvù DeejayTelevision (ma anche DiscoRing).
Ma fra i primi avvicinamenti seri alla musica e poi l’hip-hop, R&B, jazz, funk e fusion, ha regnato un’era che brillava di luce abbagliante.
Il periodo disco. Che poi sarebbe più corretto chiamare dance. Che poi sarebbe più corretto chiamare house.
Mi mettevo nella mia cameretta, a studiare, lasciando la radio sintonizzata su una FM che mi aveva stregato per i ritmi dei pezzi che mandava in onda. Avevo sedici anni, e sentivo fino a notte fonda Radio Italia Network. Non Radio Italia [solomusicaitaliana], ma Italia Network, un’emittente che quando mandava il segnale orario aggiungeva “una hora meno en Canarias“, che aveva non la logora e frusta top ten ma i “Los Cuarenta“, che come jingle aveva “ritmo latino“; una radio praticamente senza parlato ma praticante tanta musica. Ah, forse una radio da El Tropico Latino e da balere per sudamericani o amanti della lambada? Naaa, non avete captato il segnale allora: i richiami ispanici erano solo piccoli droplets per instillare un po’ di sonido de Eivissa – perché in quel momento era Ibiza l’icona della musica da discoteca, che faceva ballare tutta notte, e che diffondeva il suono de la marcha. Mi addormentavo sognando il Ku, l’Amnesia e il Pacha ma potevo permettermi solo di andare in motorino a ballare al Covo (più precisamente era “il Grottino” la sala in cui si suonava la musica più trasgressiva) o al Lido dove ogni tanto scappava qualche pezzo più acid o techno. Technics invece era l’unica marca di giradischi che meritasse, così comprai un mixerino Gemini e due SL1200 MK-II per emulare le gesta dei deejay, andando a prendermi i vinili da GoodMusic, o a Milano da Merak, Mariposa, Wimpy, o mi spingevo a Londra da BlackMarket, SoulJazz, Ministry of Sound.
Aumentando il raggio di autonomia con l’auto potevo permettermi di raggiungere da una parte locali meneghini come Lizard (resident Bruno Bolla), Shocking Club (resident Franco Moiraghi) entrambi gestiti dal gruppo de Le Fous de L’Ile, o gli eventi Exogroove di Gabon &co (a Le Cinema, spesso con Mr. Joe “T” Vannelli e Tony Bruno come vocalist). Dall’altra Duple (a Serricciolo), Imperiale (a Tirrenia), KamaKama (a Camaiore).
Nottate completamente devastanti, ed epocali. E in auto, a casa, quando si studia, quando non si balla, il sottofondo era sempre la musica di Radio Italia Network: DiscoNetwork, Mastermix “Ritmi Tribali” (Stefano Noferini), Los Cuarenta (Andrea Pellizzari!), Suburbia (Mr. Marvin).
Se col passare del tempo potevo allargare l’orizzonte dei club che potevo visitare, è vero che dall’inizio degli anni ’90 la linea editoriale di RIN progressivamente si perde via. Aumenta il parlato (da inizio decennio le news obbligatorie per Legge) e si insegue il bandwagoning per passare il più possibile da alternativa alla conquista del grande pubblico (vedi il mio articolo sull’essere indie!). Sta di fatto che ascoltare RIN non faceva più la differenza: tanto valeva sintonizzarsi su Radio Deejay (pur con la talvolta buona selezione di Albertino, Fargetta e compagnia).
Per me una sola emittente restava di tendenza. Era Radio Mare Imperiale. Dal 1988, col vocalist Franchino, mandava in onda musica con una marcia in più. Come per Radio Italia Network, niente tempo perso in parole inutili e tantissima musica. Tanti jingle strampalati, e persino la poca pubblicità locale era di culto: registrata con effetti eco irragionevoli e sul filo del demenziale – ricordo una pubblicità di un parrucchiere, che finiva con “street xyz, Aulla, MassaCarrara, Italy”: la radio non si riceveva se non fra Pisa e La Spezia.
Appunto. La radio non si riceveva se non nei paraggi dell’Imperiale e del Duple. E, per sentirla, capitava non di rado che salissi in auto con un amico o due (credo una volta d’averlo fatto anche da solo…), e guidassi per un’oretta solo per andare ad ascoltarla.
Già all’altezza delle Cinque Terre si iniziavano a captare i primi vibes in frequenza modulata, ma si andava oltre, fino alla Versilia o in su lungo la A15. Si accostava, autoradio a tutta gallara, e si ballava in un parcheggio. O si restava in auto con le casse prossime all’esplosione. Tempo un’oretta magari, già si faceva dietro-front, direzione Genova o Milano, a seconda del caso.
Era una magia. Un gesto fuori dal tempo e dalla sensatezza, ma che riconciliava con il ritmo della grande motrice dell’universo.
Immaginabile lo scorno del declino e della chiusura, a fine anni ’90, dell’emittente. Così mi ritrovavo orfano di RIN e RMI: le due radio italiane di house (nelle varie declinazioni) più intense che avessi sentito.
Immaginabile anche l’entusiasmo di aver ritrovato poco tempo fa la fenice di Radio Mare Imperiale: RMIN. I tempi cambiano, i portafogli e le logiche anche, quindi non si tratta più un’emittente FM, bensì di una web radio: www.rmin.co.uk. Un gruppo di ragazzi, che non posso che incensare ed encomiare, ha raccolto il testimone e trasmette in streaming su tre broadcasts, di cui uno (quello a me tutt’ora più congeniale) è Suburbia, gestito da DJ Checchouse.
Sbaglierò, ma ho motivo di ritenere che sia un’iniziativa non esattamente improntata al successo economico, quanto più alla realizzazione della propria passione per la musica. La stessa passione che mi spingeva a percorrere anche 400 km solo per ascoltare Radio Mare Imperiale.
Continuate così, siete eccezionali!